L’olio d’oliva: una risorsa onnipresente

In questo articolo vi parlerò dell’antichità e dell’onnipresenza, in cucina come nella storia, dell’olio d’oliva. Come tutti sanno, l’olio d’oliva è un olio alimentare ottenuto mediante estrazione dalle olive, ovvero i frutti dell’Olivo (Olea Europea), albero millenario e presenza secolare del paesaggio mediterraneo.

Tra gli olivi d’oliva ad uso alimentare, il più usato in cucina è quello vergine, ricavato dalla spremitura meccanica delle olive. È nell’etimologia della parola greca “èlaion” (l’ulivo) e nel suo significato simbolico di luce divina e di pace, ad esempio il ramoscello d’olivo della tradizione biblica, che ritroviamo il carattere sacro e di benessere dell’olio stesso.

Considerato come l’oro del Mediterraneo, non per il suo prezzo, poiché, quasi sempre nella storia calmierato o comunque accessibile, ma per il suo valore d’uso, l’olio, assieme al grano e al vino, può esser considerato come una delle risorse alimentare più utilizzate e più diffuse. Prima di entrare nel vivo della mia argomentazione storico-antropologica, vorrei soffermarmi su una caratteristica puramente psicologica dell’olio, dal mio punto di vista l’olio, cosi denso e cosi lento, rappresenta il nostro piacere, il desiderio, il nostro inconscio, il nostro io.

A differenza degli alimenti, come il grano, lavorato e trasformato in pasta, o come la patata soddisfacente di per sé, l’olio non nutre bensì educa al gusto. Su un’isola deserta, ad esempio, ridotti ad una condizione selvaggia e di negligenza, non potremmo nutrirci, di un liquido come l’olio, avremmo bisogno in quel caso di un qualcosa di solido, di sostanzioso, di soddisfacente. Ed è proprio questo valore simbolico e inestimabile dell’olio: la sua liquidità, la sua viscosità, il suo esser un condimento o un ingrediente e non un alimento di per sé, a metà tra la terra e l’acqua, tra il bisogno e il surplus, tra il corpo e lo spirito, come il desiderio, è sofisticato ma anche semplice, disavvezzo alla banalità dell’acqua ma anche quotidiano.

L’olio parla di noi attraverso di noi, segna il confine tra barbarie e civiltà, tra necessità e benessere, l’olio come l’anima è il gusto, il senso profondo dell’esistenza, quello di esser un bene di cui ne potremmo fare a meno utilitaristicamente ma indispensabile come un quadro di Mark Rothko. L’anima vuole l’antico infatti, abbiamo bisogno della storia, perché non siamo animali, ma esseri senzienti, dal godimento raffinato, proprio per questo la storia dell’olio d’oliva è una delle più saporite.

La storia dell’olio d’oliva, inizia nell’antica Grecia, con il mito della nascita dell’ulivo. Come racconta Karoly Kerenyi, nel suo famoso “Gli Dei e gli Eroi della Grecia”, Poseidone, dio del mare, ed Atena, dea delle arti, si sfidarono a chi riuscisse ad offrire all’umanità il dono più bello. Poseidone con il suo tridente colpi una roccia dalla quale sgorgò una sorgente da cui nacque il cavallo, Atena invece conficcò la sua lancia del terreno e ne nacque l’Ulivo. Zeus, il venerando re dell’Olimpo, premiò il dono di Atena come il più utile per l’Umanità. Il mito parla attraverso i secoli, ieri come oggi, l’olio è sinonimo di pace, di prosperità, di benessere, infatti ad Atena per quel dono, venne nominata la fiorente omonima città greca. Zeus non premio la forza, la bellezza o la bontà d’animo del cavallo, che ha accompagnato la storia dell’umanità sino alla modernità e all’avvento della tecnologia, ma l’utilità diffusa del bene, l’olio infatti sopravvive e forse giova della rivoluzione tecnologica.

I Romani, nel loro senso pratico e verace, testimonianza dell’arco a tutto sesto, cominciarono a classificare l’olio per tipologia, e svilupparono il commercio, istituendo specifici mercati e figure di venditori. Bisogna però fare una specificazione, l’olio come ingrediente culinario sarà solo intorno al 1400-1550, infatti nell’antichità sia greca che romana venne usato come unguento e balsamo per gli atleti, mentre durante il medioevo venne usato per l’illuminazione delle lampade votive.

A partire dal 1500, con il clima della Controriforma, e il precetto cattolico del mangiare magro e leggero, contro la peccaminosa ingordigia, e con la sua diffusione nella frittura del pesce durante la Quaresima, al posto del grasso ed impuro lardo e strutto di maiale.

Nel 1800, con la nascente industrializzazione, l’Italia è sui mercati europei ed extraeuropei il maggiore esportatore.

Nel 1900, con il consolidato monopolio, l’olio italiano è un brand ma anche l’ingrediente principale della dieta mediterranea.

L’olio parla della nostra storia di popolo italiano, del nostro carattere produttivo e laborioso, del nostro paesaggio, penso alle campagne pugliesi di Ostuni, Fasano e Monopoli, parla della nostra tradizione contadina. Ma c’è un tempo per lo spirito ed uno per il corpo, e quando la storia interrompe la narrazione, l’attimo del piacere prende il sopravvento.

L’olio, come alimento, è onnipresente nella cucina Pugliese, e lo ritroviamo infatti in molte sue ricette: lo troviamo come principio cosmico per la farcitura e l’impasto della Focaccia, dei Taralli del Calzone; lo troviamo nel soffritto primordiale di primi piatti come le “orecchiette alle cime di rape”; lo troviamo nella sacra unzione della teglia del “riso patate e cozze”; lo troviamo nel surrealismo della “fritto misto di pesce”.

In conclusione, abbiamo visto in questo articolo tutte le gustose suggestioni, storiche, mitiche e psicologiche dell’olio d’oliva, ma ora vi lascio alla semplicità ed alla genuinità di una fetta di pane fresco cosparsa d’olio.

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