Chi non è mai entrato in un bar per assaporare un cocktail con amici o come momento di riposo dopo una lunga giornata di lavoro? Credo un po’ a tutti. A chi non piace dissetarsi o soddisfare il piacere del proprio palato. Mi piace pensare in grande, a quegli spaziosi bar ed a quelle vetrine, in cui vi sono longeve esposizioni di maestose bottiglie di alcolici e superalcolici, l’una diversa dall’altra, di cui si può ammirare la varietà dei colori, la personalizzazione dei marchi e la particolarità di come vengono distinte tra loro.
Esistono davvero innumerevoli bottiglie tutte diverse, eppure anche qui, tra voi lettori, ci sarà pure chi si è chiesto cosa contraddistingue una bottiglia rispetto ad un’altra oppure come scegliere cosa bere, o quale sia la bevanda più affine al nostro palato.
Oggi voglio raccontarvi come nascono le prime sostanze alcoliche, come e quando nascono le prime distillerie in Italia e nel mondo e perché no? Provare a fornirvi qualche riflessione in merito a questo ricco e curioso mercato mondiale.
La storia dei liquori affonda le sue radici in epoca medievale, nel mondo orientale, grazie anche alla civiltà islamica. Quando l’uomo ancora non conosceva le moderne medicine, per curarsi utilizzava le sostanze vegetali; a titolo di esempio, i medici prescrivevano sciroppo d’uva mischiato con zucchero e spezie come cura contro malattie lunghe. Gli arabi sono da sempre famosi per le loro spezie e per i loro profumi travolgenti. Elisir e amari erano considerati doni dell’oriente e del mondo arabo. Furono infatti, gli alchimisti arabi (tra questi Jabir Ibn-Hayyan) a sottoporre alle prime spartane tecniche di distillazione, limoni, miele, aloe, mirto, chiodi di garofano e molto altro ancora. A solo uso cosmetico, la loro prima ideazione fu l’acqua di rose. Un’acqua profumata che grazie all’infusione dei petali di rosa in sostanze liquide, ne restituiva una fragranza sinuosa e contesa. All’inizio, l’uso di queste nuove sostanze era di tipo farmaceutico e segreto. Il mondo arabo ne ha permesso la conoscenza al mondo esterno; ne ha curato la progressione e la lavorazione fino a produrre le prime bevande alcoliche.
All’inizio, non esisteva l’amaro, ma l’elisir, una preparazione medicamentosa a base di piante benefiche infuse in acqua o in alcol. Il territorio arabo non si preoccupò di trasformare queste fragranze in bevande alcoliche, definendoli elisir. L’’etimologia del termine elisi deriva infatti, dalla parola araba al-iksir (essenza) col significato di “pietra filosofale”, alludente in origine a un composto che, applicato ai metalli, avrebbe dovuto trasformarli in oro zecchino.
Con l’arrivo in Europa degli alambicchi (il più antico risale al IV secolo) nonché degli apparecchi per la distillazione, ebbe inizio la produzione delle prime bevande alcoliche e così la consuetudine di assumerle. Lo scopo però fu all’ inizio farmaceutico; si alleviavano dolori e malanni; l’acquavite era capace di: prevenire le malattie provocate dal freddo, “confortare” il cuore, guarire vecchi e nuovi mali alla testa, conferire un bel colorito, guarire l’alopecia e far crescere i capelli. Tutto questo secondo Hieronimus Brunschwig, un luminare tedesco della medicina del XV secolo.
Nella sua forma originale l’Acquavite è quello che oggi si chiama Brandy e derivava dalla distillazione del vino. A metà del XVII secolo nasce una nuova bevanda, che avrà una grande importanza nello sviluppo del consumo di alcool e nella diffusione delle patologie ad esso correlate: il Gin. In Olanda viene distillato un liquore denominato Genever, poi abbreviato in Gin, per la cui preparazione veniva usato il ginepro che serviva per nascondere il sapore dell’alcool. Secondo alcuni autori, anche il Gin avrebbe un’origine medicinale, in quanto un suo “progenitore”, un distillato a base di ginepro preparato da monaci italiani, era stato impiegato come rimedio alla Morte Nera tra il XIV ed il XVI secolo. Ancora, la leggenda narra che i farmacisti ecclesiastici, curarono una colica renale del pontefice a pochi giorni dall’inizio del primo Giubileo della storia, nel 1300, grazie ad un liquore alcolico. Questo avvenimento fu fonte di un significativo pellegrinaggio e gli inventori in questione, proprio perché curarono la più alta carica ecclesiastica, non rischiarono l’accusa di stregoneria.
Sempre questo mito, poi, racconta che nell’infusione dell’alcol e delle erbe, veniva versata anche una piccola quantità di oro, con lo scopo di donare alla bevanda un colore giallo brillante. È per tale ragione che nei secoli a venire, i liquoristi presero l’abitudine di colorare i loro liquori con spezie come lo zenzero e la curcuma.
Anche nel mondo delle fede alcuni ordini religiosi, si specializzarono nella produzione di liquori, elisir e amari salutari. In ambito cristiano, nella produzione di bevande alcoliche assurgono ad un ruolo di grande rilevanza le comunità monastiche. Alcuni vini, tutt’ora fra i migliori del mondo, venivano prodotti in vigne di proprietà della Chiesa e in qualche caso direttamente dalle varie comunità di monaci. Nel 1232 l’Abbazia di San Vivant in Vosne (Francia) acquistò 1,8 ettari di vigneto che sarebbero poi diventati il cuore della produzione di uno dei vini più famosi e cari del mondo, il Romanée-Conti. All’epoca del papato di Avignone, XIV secolo, si fa risalire l’impulso alla viticultura nell’area che sarebbe poi diventata zona di produzione dello Chà¢teauneuf du Pape. Ma i monaci non si dedicavano solo alla vinificazione. In Inghilterra, all’inizio del XVI secolo, fino al regno di Enrico VIII, le comunità monastiche producevano le migliori birre e la loro vendita era un’importante fonte di guadagno e sostentamento. Nel 1367 fu fondato l’ordine dei frati Gerolamini e chiamati comunemente “frati delle acque” proprio dalla fabbricazione di acque “spiritose” e odorose. Poi a seguire i monaci benedettini, inventori del Bénédictine (la cui ricetta è sempre stata mantenuta in segreto), i cistercensi, i trappisti e i certosini, quest’ultimi produttori del celebre elisir Chartreuse, nonché un composto ottenuto dall’infusione in alcol di 130 varietà di erbe medicinali ed aromatiche. Ogni territorio elaborò amari medicinali e cordiali, diversi per ingredienti utilizzati e ciascuno con una propria particolare connotazione e una propria caratteristica gustativa, del cui metodo di preparazione erano depositari illustri medici e speziali, nobili famiglie e, soprattutto, le farmacie dei maggiori monasteri.
Alle origini, il costo dei liquori era molto alto ed è per tale ragione che per molto tempo queste bevande venivano utilizzate solo per alleviare dolori e malattie. L’uso dei liquori comincerà a cambiare a partire dalla metà del 1500 grazie al contributo di Caterina de Medici, amante della cucina e dei profumi. Caterina, divenuta sposa del Re Enrico II, portò con sé in Francia, medici, cuochi, pasticceri ed anche alcuni liquoristi italiani che fecero apprezzare i segreti della cucina italiana. Ella aveva l’abitudine di proporre come gesto di benvenuto un piccolo sorso di liquore dolce ai visitatori del Palazzo, prima a Firenze e poi a Parigi. Contemporaneamente con l’incremento dei traffici commerciali vennero scoperti nuovi aromi e frutti che permisero di ampliare le ricette dei liquori. Il prezzo per la produzione delle spezie si abbassò. Cominciarono ad essere venduti anche nei bar e ciò segnò l’avvento dei primi cocktail a base di liquore. In Europa, fu l’Olanda ad ottenere il primato per la produzione di liquori. Francia e Italia, che notoriamente erano le nazioni con la più forte presenza ecclesiale sul territorio, non tardarono a farsi un nome nel settore dei liquori.
Da quel momento in poi oltre agli scopi farmaceutici, muta anche il ruolo dei liquori ed in generale delle bevande alcoliche. La nuova ambizione diviene quella di sperimentare nuovi sapori dalla coesione di piante, aromi e profumi. Nell’800 nascerà la figura del Mixologist nonché colui che adopera uno stile acrobatico nella preparazione dei cocktail e che combina sostanze alcoliche ed analcoliche per nuovi e unici preparati da adattare ad ogni palato. Nel corso della storia, dunque, si evolve anche il mondo del commercio; lo scambio tra beni di prima necessità e soprattutto prodotti locali, che nel medioevo, nasce nei piccoli mercati dei villaggi, per lo più tra contadini che compravano o scambiavano prodotti alimentari e attrezzi di lavoro, ora progredisce, nelle grandi città dove diviene più facile trovare molti più prodotti e per tutte le classi sociali, dai più poveri ai più ricchi. Qualsiasi grande città commerciale dell’Europa era ora infestata da odori. I liquori, insieme al vino ed alla birra, quando sono apparsi nel commercio, erano considerati un privilegio per quanti economicamente più ricchi e che quindi per coloro i quali non badavano a spese. Molti li consideravano sostanze nutrienti e migliori per favorire la digestione rispetto all’acqua, inoltre grazie al loro contenuto alcolico, erano più gradite in quanto meno inclini a guastarsi ed andare a male. Il primo liquore della storia fu un rosolio alle rose; tra primi profumi e come ingrediente per varie ricette da cucina veniva utilizzata l’acqua di rose.
Si passava dunque, dalla punizione degli ubriachi, che nel medioevo venivano esposti al ludibrio pubblico “vestiti” con un barile di birra, a trattati di medicina che nei secoli dopo magnificavano le virtù dell’acquavite che secondo un luminare tedesco della medicina del XV secolo, nonché Hieronimus Brunschwig, era capace di: prevenire le malattie provocate dal freddo, “confortare” il cuore, guarire vecchi e nuovi mali alla testa, conferire un bel colorito, guarire l’alopecia e far crescere i capelli. Nella sua forma originale l’Acquavite è quello che oggi si chiama Brandy e derivava dalla distillazione del vino. A metà del XVII secolo nasce una nuova bevanda, che avrà una grande importanza nello sviluppo del consumo di alcool e nella diffusione delle patologie ad esso correlate: il Gin. Infatti, in Olanda viene distillato un liquore denominato Genever, poi abbreviato in Gin, per la cui preparazione veniva usato il ginepro che serviva per mascherare il sapore dell’alcool.
Secondo alcuni autori, anche il Gin avrebbe un’origine medicinale, in quanto un suo “progenitore”, un distillato a base di ginepro preparato da monaci italiani, era stato impiegato come rimedio alla Morte Nera, una delle più gravi epidemie di peste che colpirono l’Europa nel tardo Medioevo. Nei secoli sono stati numerosi e progressivi gli studi sulla fermentazione e alla produzione e questo ha permesso di riconoscere quali grandi e principali produttori di liquori: l’Italia, la Francia e l’Olanda. Abbiamo una varietà incredibile di prodotti che vengono quotidianamente venduti. Numerosi aromi creati e provenienti da ogni parte del mondo che vengono adoperati nelle ricette culinarie e nella preparazione di alcolici.
La più antica distilleria italiana risale al 1779 ed è la distilleria Nardini a Bassano del Grappa, punto strategico come crocevia commerciale tra la Valsugana e Venezia. Il proprietario e fondatore della distilleria si trovò per caso in quella città e li fu costretto a rimanere a causa di un incidente. Fu a quel punto che considerando la posizione strategica di Basano, dal punto di vista geografico, che decise di acquistare l’Osteria al Ponte, oggi “Grapperia Nardini”, per produrre grappa dalle vinacce che i contadini gli conferiscono e poi rivenderla. Bortolo chiama la sua grappa “Aquavite di vinaccia”, rifacendosi all’antica ‘’Aqua di vita’’ quale estratto e frutto di vita nuova dell’uva. Da quando quest’azienda è stata creata sono trascorsi 241 anni. Da generazione in generazione in questi due secoli si è evoluta ed innovata ed è entrata a far parte dell’esclusivo club delle aziende familiari bi-centenarie “Les Henokiens”. Una vita dedicata ad esaltare il proprio territorio ed il valore delle tradizioni familiari.
Nel mondo, invece, la più antica distilleria, ancora in attività si trova in Irlanda ed è la ‘’Old Bushmills Distillery’’. La sua storia risale al 1608 quando Sir Thomas Philipps ottenne dal Re Giacomo I una licenza di distillazione. La caratteristica di quest’azienda è data dal fatto che da quando è stata costruita, alcune tecniche antiche e tradizioni sono ancora oggi utilizzate, sia in termini di produzione, sia in termini di utilizzo di acqua del torrente Bush, sia in termini di aromatizzazione che di invecchiamento. Questo avviene in botti, in precedenza sede di Sherry Oloroso, Bourbon o Porto: tali contenitori vengono posti in magazzini ampi e bui, dove possono invecchiare. Dopodiché, ‘’il master Blender’’ nonché il maestro distillatore) procede a miscelatura ed imbottigliamento.
Quali differenze tra distillati, amari e liquori?
Molte volte ci troviamo accanto a conoscenti e amici che parlano di distillati, amari e liquori senza mai capire qual è l’effettiva distinzione tra queste bevande. In via generale, occorre sapere che i distillati sono liquidi che vengono ricavati a partire dalla fermentazione di cerali, radici, vino o frutta in seguito alla quale avviene la distillazione (nonché la separazione a dell’acqua dall’ alcol). Hanno una bassa percentuale di zuccheri e una gradazione molto elevata. Tra i principali quelli più conosciuti sono i seguenti: Rum, Gin, Cognac, Whisky. I liquori sono alcolici arricchiti da erbe, radici e aromi varie (es. anice, vaniglia, cannella, ginepro e altri). Si ottengono mediante la macerazione o l’infusione a caldo e il prodotto viene arricchito con sciroppo di zucchero. Per il resto, la quantità di zucchero può rendere i liquori dolci o secchi. Qui il Regolamento Europeo stabilisce che il contenuto di zuccheri può arrivare fino a 100 gr/ litro. Gli amari invece vengono denominati così, proprio per il loro basso contenuto di zuccheri. Gli amari o bitter sono molto più simili ai liquori per natura e metodo di preparazione. Si ottengono dalla macerazione di e/o infusione di erbe, spezie ed eventualmente di zucchero e aromi. Secondo il Regolamento Europeo del 2019 una bevanda per essere definita amara deve contenere almeno una graduazione alcolica pari al 15% Vol. Secondo la classifica di Drinks International Brands Report del 2022, il distillato più usato è il Gin, mentre il cocktail più venduto al mondo è il Negroni; il Milone è invece l’amaro più venduto.
Come scegliere il liquore da bere?
Spesso nel momento in cui decidiamo di bere qualcosa di alcolico non siamo decisi e sicuri. Molte volte facciamo decidere anche agli altri cosa vogliamo bere, senza sapere che è possibile scegliere una bevanda ricca dei sapori che noi amiamo. C’è sicuramente, chi assume il solito drink o il solito amaro, dall’altro c’è chi invece ama scoprire nuove prelibatezze e magari un nuovo piacevole sapore. Come possiamo superare questa indecisione e capire quale sia la bevanda più adatta a noi? La prima cosa da fare è scuramente scegliere se bere un liquore dolce o secco e questo già è determinante per capire se vogliamo bere un liquore che viene servito freddo o caldo. Tra i liquori più dolci annoveriamo quelli agli agrumi, che di solito vanno serviti freddi cioè appena usciti dal freezer; la Sambuca e la Grappa, che sono liquori più tradizionali vanno serviti invece a temperatura ambiente. I liquori secchi hanno un sapore deciso e forte: tra questi distinguiamo i distillati di vino come il Brandy o il Cognac che vanno serviti di solito dopo pranzo o cena quindi dopo pasti completi essendo dei liquori molto forti e i distillati di cereali come il Gin, il Whisky e la Vodka che di solito vanno assunti dopo cena a temperatura ambiente. Inoltre, basta conoscere bene ciò che a noi piace e da sollievo per capire quale sia il gusto che vogliamo assaporare dal drink o liquore. Ecco perché molte volte il barman ci chiede: ti piace la menta? Ti piacciono le noccioline o il caffè, etc.
Attualmente, il liquore più caro d’Italia è un whisky, pagato in asta pubblica 107.800 euro ed è la Tequila Ley 925 (la tequila si ottiene distillando l’agave blu, una ricca pianta della famiglia delle Asparagacee). Con gli amari è possibile spaziare, in quanto possono essere serviti con ghiaccio o lisci, e inoltre possono essere miscelati con altre bevande che si abbinano alla perfezione per arricchirli di sapore.
La scelta: libertà o prigione?
Come si evince dunque, oggi godiamo di un’ampia scala di bevande alcoliche; abbiamo la possibilità di scegliere quale assumere, quale preferire e quale acquistare. Ma per chi acquista alcolici in che modo dovrebbe farlo? Questa possibilità è una libertà o può diventare una prigione per gli assuntori?! Questa è una delle domande più frequenti che ci si pone quando si affronta il suddetto tema. Molti amano sorseggiare un amaro caldo davanti al camino mentre leggono un libro; altri invece preferiscono bere uno, due tre drink durante una serata danzante. Mi viene in mentre la frase del poeta Bukowsky:‘’
Ecco il problema di chi beve, pensai, versandomi da bere. Se succede qualcosa di brutto si beve per dimenticare; se succede qualcosa di bello si beve per festeggiare, e, se non succede niente si beve per far succedere qualcosa’’.
Ma cosa voleva intendere Bukowski? Charles bevve il suo primo bicchiere di vino a 14 anni, per lui l’alcool era la sua musa per eccellenza; fonte di piaceri e dolori, di nobili notti alla macchina da scrivere e miseri giorni alla ricerca di un modo per pagarsi whisky, vodka, vino, birra. -Il bere ha segnato in modo profondo e indelebile ogni aspetto della sua vita, dal rapporto con il padre alle sue prime storie d’amore, fino alla sua vocazione come scrittore. Secondo il poeta l’alcool può essere interpretato come il mezzo attraverso il quale l’uomo non ha paura di esprimere i propri pensieri. Strumento di libertà che si rende adatto ad ogni occasione.
Per il poeta l’alcool è quasi un conforto, un compagno per colmare la sua solitudine. Bukowski vedeva ‘’il bere’’ come un modo per evadere dalla routine quotidiana. In certi versi considerava il bere come una forma particolare di suicidio, per il quale si poteva tornare alla vita il giorno dopo. Bukowski beveva qualsiasi cosa avesse a tiro, ma il suo preferito era il Boilermaker, nonché, uno shot di Bourbon servito a testa in giù in una pinta di birra.
Ecco che noi potremmo anche dire che per molti, l’alcol rappresenta un’abitudine quotidiana, per cui si trova sempre un motivo per bere per il solo fatto di voler continuare a bere con costanza, e questo come può causare danni ad una persona; dall’altro però, ci sono persone e tra questi molti poeti, scrittori e filosofi che è proprio nel momento in cui bevono che ritrovano la passione, l’amore e l’ispirazione giusta. Ecco che allora non si dovrebbe impedire alla gente di bere, ma ricordare di bere responsabilmente e con qualità, insegnando ad assaporare ogni stuzzicante aroma come un colore per descrivere le proprie amozioni e quotidianità.
Quanti italiani bevono?
Se scrutiamo i dati pubblicati dall’ Istat, ‘’nel biennio 2020-2021, meno della metà degli adulti di età compresa tra i 18 e i 69 anni (44%) dichiara di non consumare bevande alcoliche, ma 1 persona su 7 (15%) ne fa un consumo definito a “maggior rischio” per la salute, o perché beve tanto o perché lo assume male. L’8% per consumi episodici eccessivi, binge drinking (5 o più Unità Alcoliche – UA in una unica occasione per gli uomini e 4 o più UA per le donne), il 7% per consumo alcolico esclusivamente/prevalentemente fuori pasto e il 2% per un consumo abituale elevato (3 o più UA medie giornaliere per gli uomini e 2 o più UA per le donne). Il consumo “a maggior rischio” è più frequentemente fra i giovani e in particolar modo i giovanissimi (fra i 18-24enni la quota sfiora il 30%), fra gli uomini (19% vs 12% nelle donne) e fra le persone socialmente più avvantaggiate, senza difficoltà economiche (17% vs 13% di chi ha molte difficoltà economiche) o con un alto livello di istruzione (17% fra i laureati vs 7% fra chi ha al più la licenza elementare)’’.
Ad assumere alcool però sono anche quelle persone che alla base soffrono già di alcune patologie, come pazienti con malattie del fegato o donne in dolce attesa. Il consumo di alcol a “maggior rischio” resta una prerogativa dei residenti nel Nord Italia. Tra le Regioni del Sud, è il Molise che la percentuale di consumatori di alcol a “maggior rischio” è più alta della media nazionale.
Anche il consumo di tipo binge è una prerogativa del Nord Italia, anche se nei paesi meridionali ormai da anni si sta verificando un’ incremento, prevalentemente/esclusivamente fuori pasto, ma dal 2018 si inizia a osservare un’inversione di tendenza che si conferma, e anzi si accentua, durante la pandemia, per poi tornare a valori pre-pandemia nel 2021.
Si tratta di modeste variazioni in termini assoluti ma statisticamente significative, sostenute evidentemente dalle minori occasioni di incontro e socialità determinate dalle chiusure dei locali imposte durante il periodo di pandemia. A fronte della riduzione del binge drinking o del bere fuori pasto, aumenta però il consumo abituale elevato, e questo è più visibile proprio nei gruppi della popolazione che ne sono più coinvolti (le persone con maggiori difficoltà economiche e meno giovani) fra i quali, nel periodo pandemico, si arresta la discesa che si andava osservando negli anni precedenti la pandemia.
L’alcool come ingrediente per preparati.
In cucina, l’uso degli alcolici è molto antico, quasi quanto la cucina stessa. In particolare, il vino (soprattutto il vino bianco) è un ingrediente quasi imprescindibile per una moltitudine di ricette, soprattutto secondi a base di carne o pesce. Anche la birra ha i suoi estimatori tra gli chef più intraprendenti, con i suoi bouquet aromatici spesso sorprendenti. Ma cosa succede quando si alza la gradazione alcolica e si ha a che fare con dei distillati?
Oggi vi sveliamo dei preziosi trucchi in cucina che vedono protagonisti varie tipologie di distillati in grado di far fare la differenza al vostro menù. Gli spiriti, o distillati, sono generalmente considerati un mondo a parte, e difficilmente riescono a dialogare con la cucina. Un distillato è per natura invasivo dal punto di vista organolettico, e il rischio di soffocare i sapori del prodotto principale è molto alto. Tuttavia, se si riesce a gestire correttamente questo aspetto, anche i liquori possono rivelarsi un’arma vincente per un cuoco che voglia distinguersi.
L’aspetto più importante sia quando si cucina in generale, sia quando si vogliono aggiungere degli alcolici. Diminuire le quantità in proporzione inversa all’aumento della quota di alcol presente nel liquore non serve a nulla. Tornerebbe utile sapere che i distillati a lungo invecchiamento hanno un sapore più persistente, mentre quelli più giovani risultano avere un sapore più delicato e leggero. Allo stesso modo, i liquori invecchiati in barrique presentano un bouquet di sapori molto più forte, esaltato dai tannini del legno; al contrario, quelli conservati in altre tipologie di recipienti si rivelano più gentili al gusto.
Sin da piccina affascinata dal mondo dei libri, dell’arte e della poesia. Il mio interesse per la poesia è nato in età adolescenziale, mentre leggevo un libro di Freud. All’età di 20 anni ho conseguito un diploma letterario e dopo ho iniziato una collaborazione con una redazione del mio paese. Attualmente sono una soccorritrice, giornalista-pubblicista e studio giurisprudenza. Sono una persona ambiziosa e amo la mia curiosità. È per tale ragione che sono grata per ogni percorso intrapreso e per ogni occasione che mi è stata concessa, perché per me è stato motivo di crescita personale. Durante la mia formazione ho imparato che la scrittura è il mezzo più potente per divulgare e far conoscere la verità. Il giornalista nel comunicare agli altri fatti e notizie, deve avvalersi della semplicità. Solo la semplicità permette a tutti di ascoltare e di essere ascoltati.